(Dall’introduzione di Federico Audisio di Somma) Ed eccoci a Giallo in corsia. L’ambientazione è quella ospedaliera. L’autrice dimostra di conoscere bene certe dinamiche interne al mondo medico, fatte di rivalità, di antichi rancori, di lotta per la carriera, di complesse relazioni personali, anche inconfessabili. La regia narrativa gioca a confondere e coinvolgere il lettore in un intreccio di personaggi e situazioni che danno corpo al romanzo. Lo specializzando in chirurgia Marco Ferrero, giovane di carattere impulsivo, si fa strada con determinazione, subito incontrando l’ostilità del professor Cerelli, uomo scontroso e scorretto non solo professionalmente, ma anche nell’ambito famigliare e delle amicizie. Sara, figlia del commissario che prende in mano le indagini sull’omicidio avvenuto, è andata a convivere con lui per cercare se stessa e conoscere il padre. Le vicende si ingarbugliano, se da un verso il colpevole pare scontato, emergono rapporti interpersonali sempre meno chiari. Sara conosce Marco e questo incontro sarà cruciale per la sua maturazione, svelando anche una particolare attitudine all’investigazione, che svilupperà in una sorta di ‘concorrenza’ intra moenia con il padre. Emerge un mondo adulto squallido, tutto da approfondire, in contrapposizione al mondo giovane, ancora acerbo e indefinito. Attraverso la relazione tra i due protagonisti e la decodifica di fatti e situazioni intricate, Sara giunge ad apprezzare il lavoro e la sensibilità del padre, ricambiata. Seguiranno colpi di scena e vari omicidi. Questo romanzo dimostra la crescita esponenziale della tecnica narrativa di Luisa Martucci, che in Giallo in corsia raggiunge piena padronanza. Perfettamente in accordo con il processo umano e narrativo che ho osservato svilupparsi in lei negli ultimi anni, mai a strappi eppure sempre più consapevole. Ecco un’altra voce femminile, stimolante e convincente, aggiungersi a pieno titolo al vivace panorama letterario torinese.
Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di entrare in contatto con il libro che hai scritto.
Prima di questo avevo già scritto dei romanzi, alcuni mai del tutto portati a compimento, altri proposti per la pubblicazione, ma senza insistere. La mia vita era troppo frenetica e non mi ero mai dedicata seriamente allo scrivere, anche se era proprio questo che avrei sempre voluto fare. Solo negli ultimi anni ho trovato il tempo e la concentrazione necessari per impegnarmi davvero. Internet mi ha dato una mano a cercare e trovare un editore che mi prestasse attenzione.
2. Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro “Sequestro di persona a Torino” cosa diresti?
Ho scritto parecchie versioni del romanzo, prima di quella definitiva,, perché una parte del lavoro è stata di tipo psicologico: giravo e rigiravo nella mente e nella memoria vicende e situazioni di quel periodo, che avevo bisogno di rielaborare. Nel romanzo c’è il riflesso di personaggi e vicende che mi hanno sfiorato lasciando una traccia potente: ho rivisitato quegli anni difficili ed entusiasmanti da vivere, per una donna, anni di crescita e di presa di coscienza.
3. Il libro fonde il giallo legato alla scomparsa di un uomo dell’aristocrazia torinese, alla storia d’amore travagliata tra i due protagonisti. Hai pensato che fosse necessario coinvolgere il lettore su più fronti, addolcendo le vicende complesse del rapimento con i sentimenti puri?
In realtà la storia d’amore è nata per prima, legata a ricordi che mi visitavano spesso, drammi e ingiustizie private dei quali ero stata testimone e dai quali ha preso forma il personaggio di Lilia. La parte che si svolge negli anni ’70 costituisce il riscatto e la “vendetta” di Lilia nei confronti dei pregiudizi che la volevano soffocare. E’ un giallo perché leggere e scrivere gialli mi diverte.
4. Nel libro dai risalto al ruolo delle donne e a come in passato loro fossero marchiate dai pregiudizi. Come pensi sia cambiata la società in questi ultimi anni? Quali sono i progressi fatti in questa direzione e quali gli obiettivi a cui tendere perché ancora troppo distanti?
Si sono fatti enormi progressi, anche se la crisi economica ha bloccato l’avanzata della donna nel mondo del lavoro. Tuttavia, nessuna carriera ormai le è preclusa e in campo sessuale ha completa libertà di azione. Un abisso rispetto agli anni ’50, ’60 e grazie alle conquiste delle donne della mia generazione. L’obiettivo finale è quello di non “sentirsi” inferiori all’uomo, e questo penso che l’abbiamo raggiunto.
5. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro? Quale significato non del tutto esplicito vorresti potesse cogliere?
Non credo vi siano significati poco espliciti: tutti i temi che volevo trattare sono espressi chiaramente: l’amore contrastato a causa dei pregiudizi sociali, la presa di coscienza di Lilia, la minaccia delle Brigate Rosse, i contrasti tra operai e padroni nelle fabbriche e una Torino nebbiosa, elegante e fredda. Ecco, forse vorrei che il lettore potesse cogliere l’atmosfera della Torino di allora, piena di forza, di energia e di speranza.
6. Quali sono i tuoi progetti futuri, continuerai a promuovere “Sequestro di persona a Torino” o hai già una nuova storia da raccontare?
Ho già scritto altri cinque romanzi con gli stessi protagonisti di Sequestro, che aspettano solo di essere rivisti e pubblicati. Mi ero affezionata troppo a Lilia per abbandonarla e ci tenevo a seguirla per un tratto di strada. In questo momento sto scrivendo un romanzo giallo, sempre ambientato a Torino, ma ai nostri giorni.
7. Qual è il libro che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Ho amato scrivere fin da bambina: la mia prima opera di lungo respiro è stata un “sequel” dell’Iliade, in seconda media. Però scrivevo già prima racconti e poesie, alle elementari. Il mio gioco preferito era inventare e recitare commedie. Forse sono proprio nata con questa passione.
8. Quale romanzo non consiglieresti mai a nessuno?
Mein Kampf
9. Adesso è arrivato il momento per porti da sola una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
La domanda è: che cosa ti dà lo scrivere?
Ed ecco la risposta: la possibilità di creare un mondo ideale, in cui le persone sono punite o premiate secondo la mia idea di giustizia e dove c’è sempre un lieto fine. La possibilità per me di accantonare una vita imperfetta, aprire una porta scorrevole ed entrare in un immaginario che mi rende felice.
Fonte: Recensione Libro.it